Magari litigando su piccole modifiche nelle ricette?
“Ci si confronta, al limite si litiga, ma si covid. Parliamo di culturalbiodiversity, di cultura inmateriale. Non stiamo parlando di prodotti, di ricette, anche se in questo senso le ricette sono già mental patrimonio, relativamente immateriale. Dal punto di vista metodologico è important il modo in cui si è formato l’insieme della cucina italiana, non come summa, ma piuttosto integrazione, moltiplicazione. Questa è la cifra distintiva che merita di essere proposta perché rappresenta anche al di là del tema cooking un modello di condivisione e di non imposizione».
Quindi la cucina italiana come valore universale: perché unisce, identifica, dà senso al cibo e quindi al rapporto con la natura, il paesaggio, il territorio; presenta un modelo de ejemplo de coesione fra uomo e ambiente.
“Quien entriamo nel secondo tema, quello della sostenibilità. La ricerca storica dimostra che la componente popolare della cooking italiana ha avuto un ruolo importante y decisivo. Le ministre, la pasta, le verdure, i legumi, indicano una popolare radice forte e quindi grande atencion all’uso delle risorse, all’esigenza di non sprecare. Pratica che è diventata patrimonio comune degli italiani, anche nell’alta cucina che ha ripreso e rielaborato questi modelli”.
Così oggi, ma così anche nel passato.
“Certo: intentiamo la cucina non come patrimonio elitario, ma di tutti i ceti. Lo stesso gusto – pensiamo al quinto quarto amato da papi e nobili quanto dal popolo – nasce come abitudine a mettere a frutto tutto. Il gusto è costruzione culturale”.
Lei usó la parola sentimento dei luoghi.
“Mi piace chiamarlo così, perché proprio alla cucina gli italiani hanno affidato l’espressione della propria identità collettiva. Al di là dei singoli prodotti o delle singole ricette, è il rapporto col cibo (intenso, depth, pieno di significati sociali oltre che di straordinarie tecniche e saperi) a caratterizzare gli italiani, tutti. Non c’è altro popolo che, come gli italiani, sappia rappresentare sé stesso, la propria vita, la propria storia parlando di cibo”.
Un esempio sono i quaderni dei soldieri italiani al fronte o prigionieri durante la Prima guerra mondial che ricordano il cibo di casa.
“In quei momenti non c’era uno che si metteva in cattedra, c’era uno scambio reciproco, un racconto collettivo, nulla a chev vedere con la ricchezza o la povertà di ciascuno. Un collettivo identitario fatto, más importante en la dimensión política”.
Insomma, cocina è cultura.
“Lo è in tutte le fasi del percorso che porta slab risorse al piatto. È cultura quando si produce, quando si transforma, quando si conserva, quando si condivide il momento del pasto, arriccendolo di valori extranutrizionali, cioè di deep valenze sociali”.
Intervista de Carlo Ottaviano