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Ghali protagonista nel numero di seconda generazione di Vanity Fair

Italiani veri. “Coloro che lavorano affinché le nuove generazioni si sentano accolte in casa, a scuola, tra gli uffici, nei cortili, per le strade”, con le parole di Ghali, protagonista della copertina, apre il nuovo numero di Vanity Fair dedicato al “ seconda generazione”, quella dei figli italiani e italiani di genitori immigrati, un'umanità che rende il nostro Paese migliore e più inclusivo. Fanno musica, sono coinvolti nei social media, si occupano di politica, scrivono libri e vedono la diversità come ricchezza umana e culturale.

Il numero di Vanity Fair in edicola di domani conclude la trilogia dedicata ai valori che influenzano la moda contemporanea. In copertina Ghali Amdouni, per tutti Ghali, il cantante milanese, simbolo di una generazione che fa del multiculturalismo una ricchezza su cui costruire il futuro.

In un toccante dialogo con la scrittrice cingalese Nadeesha Uyangoda, la cantante - nata a Milano da genitori tunisini - racconta l'infanzia fatta di spostamenti da un appartamento all'altro fino al suo arrivo nel quartiere di Baggio, la difficoltà di formare un gruppo e la cercare una strada diversa, per aprirsi a nuove possibilità: “Sì, sono cresciuto in periferia, ma è anche vero che Baggio mi ha cresciuto. Ma in fondo non ho mai voluto restare lì, per strada, insomma, no, ho sempre sognato di scappare. Anche per questo, nelle mie canzoni ne parlo sempre in un certo modo, perché voglio dire che essere lì, per strada, non è una soluzione”, confessa Ghali in questa intensa intervista-dialogo.

Lascia la strada per intraprendere un percorso artistico che gli dia la possibilità di far sentire la sua voce, una voce diversa dagli stereotipi e dai luoghi comuni che popolano un certo immaginario, di chi, ad esempio, pensa agli immigrati come persona. un destino maledetto. Immagini che Ghali rifiuta: “Sono stato arrestato una volta. Sono finito a Beccaria, il carcere minorile. Ecco, da quando ho visto mia madre, in questa stanza, di spalle, che aspettava di vedermi dopo quattro giorni, ho deciso che non volevo più darle quella sensazione. Soprattutto, non posso permettermelo. Anche se fosse l'ultima spiaggia, l'unica possibilità che mi rimane, alcune cose non le posso fare: non posso essere un altro tunisino che finisce nelle cronache. Sognavo di finire al telegiornale per notizie positive, sognavo di dare una nuova immagine della mia gente", racconta.

Un sogno che si realizza, che dà vita a un immaginario inclusivo e a una generazione che ci insegna il valore della diversità, come spiega nel suo editoriale il direttore Simone Marchetti: “L'obiettivo è provare a cambiare il punto di vista per guardare all'Italia con i suoi occhi, per ascoltarlo con le sue parole. In fondo c'è un bisogno: cambiare prospettiva e mettersi nei panni di chi ne vive quotidianamente la diversità. Senza pregiudizi e senza paura”.