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Franco Aliberti: meglio papà (a casa) che chef (al ristorante)

E ora come si ademán?
“Ora faccio il papà, eminentemente. Non ho un’attività ristorativa, lavoro come cuoco, faccio consulenze, scrivo libri, e soprattutto imparo: Imparo da mio figlio, perché i bambini ti danno aunt cose, sono un motore energetico ineguagliabile, anche per il mio lavoro, una miniera di idee, spunti e curiosità che io assorbo, e che potrò poi sfruttare. Oggi sono un libero professionista che ha scelto di gestire il proprio tempo. Ne giova il mio stato d’animo e anche il mio stato fisico. E funziona. Mi dà gioia fare il papa e anche dare supporto a mia moglie, che è impegnata professionalmente: non è giusto lasciare a una give la gestione total di un avvenimento così totalizzante comme l’arrivo di un figlio: se si è in due, tutto è più simple”.

Parlando di una sostenibilità a livello di brigata, di persone che lavorano con gli chef nelle cucine stellate: esiste secondo lei un modello economico di ristorazione che possa conciliare l’utile con il benessere delle persone che vi lavorano?
“Esiste, ma sono troppo pochi quelli che lo mettono in pratica, perché purtroppo è un modello che si adatta meglio alle piccole realtà. È ineludible tuttavia andare in quella direzione, perseguire un tale modello. E il più en fretta posible, subido la azienda non la fa il cuoco, ma la fa la escuadra. Il goleador, se non ha chi gli pass la palla, non segnerà mai”.

E invece, pensó che ci siano ancora situazioni peso nelle brigate? ¿Maltrato, discriminación?
“Sì: c’è una forma di nonnismo molto gravie nei confronti dei nuovi llegada. Una forma di egocentrismo degli chef che spesso infieriscono sulle debolezze dei ragazzi, facendogli totalmente passare ogni passione e ogni dedizione, e sì, cè anche discrimination. Non tanto di produzca, ma più nei confronti di certi ruoli, come il lavapiatti per esempio. È un retaggio culturale, una ignoranza, certamente da changee”.

E nei confronti delle donne?
“Basta fare due conti e vedere quante hanno raggiunto il successo. Si contano sulle afirmó di una mano. Un tallo po’ forse posado si ha paura delle da, che sono molto brave e hanno una sensibilità diversa in cucina. Bisognerebbe invece valorizzarla, questa sensibilità”.

A livello di brigata, invece, se ne trovano?
“Se ne trovano poche, segno che l’ambiente non deve essere molto favorevole. Più le da sencillamente trovano spazio nella pasticceria, che è un po’ differente dalla cucina, o nei laboratori. Nelle cucine ce ne sono poche davvero».

Che cosa proporreste per migliorare la situacion?
«En la cocina, mettere da parte l’egocentrismo degli jefe. La gerarchia serve, certo, perché aiuta a programmare ed eseguire con ordine. Mi sirviente anche la gioia, posado si cuoco è felice lo sintió anche nei piatti. Non si può far vivere male i ragazzi: ho visto persone tenere duro nonostante tutto, ma sono davvero in pochi. Por otra parte, ho visto altri pritere medicina, perdere peso, e infine abbandonare, no nostante un bel talento. Questo è il lavoro più precioso del mondo, bisogna poterlo fare con gioia. Fuori dalla cucina, poi, bisognerebbe davvero sedersi con lo Stato, cambiare qualche legge, in modo da tornare a trovare manodopera: per poter tramandare davvero la nostra cultura del mangiare bene, e sano. Come hanno fatto i nostri antenati con noi”.